C’è viaggio e viaggio. In alcuni momenti della nostra vita, spesso si trasformano in veri e propri percorsi spirituali, cambiando la percezione ed il senso del viaggio stesso. Conoscere un paese vuol dire connettersi con gli aborigeni assimilando parte della loro cultura, comprendere i loro stili di vita, confondersi con loro per capirne lo spirito dando spazio a tutto ciò che possano trasmetterti ed insegnarti. Scoprire storie di vite totalmente distanti e diverse da noi, senza giudicare, alimentando la sete di conoscenza e il senso stesso dell’avventura, la Libertà. Accrescere e conoscere se stessi per migliorare il proprio concetto di vita secondo me è il vero valore di un viaggio interiore e significativo, che va oltre il concetto di vacanza, soprattutto se in solitaria e all’avventura. …come gli antichi naviganti che lasciavano il porto accettando i capricci del vento e issando le vele verso l’ignoto, combattuti tra curiosità e timore… Quando si parla di questo tipo di viaggi, l’oriente è sicuramente la parte del mondo che più facilmente ci viene in mente. Con i suoi molteplici templi buddhisti, induisti e shintoisti, è il luogo adatto per scoprire il fascino della meditazione. In Giappone, a sud della città di Osaka, ai piedi del monte Koya troviamo molte statue o templi dedicati a Buddha, frequentati da moltissimi viaggiatori. A Bangkok, capitale della Thailandia, c’è il tempio di Pho, con all’interno la statua reclinata e realizzata in oro del Buddha. Il culmine dei percorsi spirituali lo raggiungiamo in Tibet, nel monastero Dira Puk, situato a 5050 metri di altitudine e raggiungibile solo via trekking. Dimora di monaci Tibetani, conserva da secoli i loro segreti su come migliorarsi sia verso noi stessi che verso le persone che fanno parte della nostra vita attraverso la meditazione. Staremo qui giorni ad elencare luoghi sacri possibili mete dei nostri viaggi, tra l’altro li troviamo un po’ in ogni parte del mondo, inclusa l’Italia con percorsi e monasteri Francescani e Francigeni, ma il senso è quello che conta, non il luogo. “Certamente da ogni viaggio si torna un po’ diversi, qualunque esperienza ci arricchisce e ci cambia, e se la si fa in solitaria ci aiuta a scoprire un po’ più di noi stessi.” Non meno interessanti sono i cammini spirituali, tra i più famosi il “Camino de Santiago de Compostela”. Questo tipo di esperienza non sempre offre Mausolei o Templi, molto spesso è essa stessa e le persone che ci si incontrano il suo significato, un vero e proprio viaggio sensoriale. Conosco diverse persone che ne hanno intrapresi alcuni, e quasi tutte sono tornate cambiate, molto più felici e in pace con loro stesse. Il più delle volte sposano il concetto di “Less is more”, ovvero possedere meno vuol dire vivere meglio. Molto spesso di lì in avanti tutto ciò di cui avranno bisogno entrerà nella loro valigia. Esperienze del genere possono essere un’opportunità per uscire dalle abitudini, dalla quotidianità, hanno la capacità di farti osservare con nuovi occhi anche il mondo che ti appartiene, quello da cui si è partiti. Quindi, se pensiamo di aver bisogno di esperienze di viaggio un po’ più spirituali o sentiamo di volerci conoscere più a fondo, cosa aspettiamo… Zaino in spalla, qualche dritta e via… E’ arrivato il tempo di meditare, sognare, provare per credere. …Strano come spesso basti un viaggio, pochi grammi di coraggio…
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Sentiamo spesso parlare di turisti o viaggiatori, ma in realtà quali sono le vere differenze di queste due categorie che tanto si sentono distanti? Viaggiare vuol dire vedere con gli occhi di chi quel posto lo vive, calarsi il più possibile nella realtà e nello spirito del luogo, cercare incontri improbabili e a volte meravigliosamente inaspettati, lasciarsi guidare dal caso e non dal programma. Per essere viaggiatori si deve aver pazienza, dedicare tempo alle esperienze, chi si dà troppi obiettivi e poco tempo non assapora nulla di ciò che scopre. Il viaggio è fatto di emozioni, e non di visite guidate. “Mi hanno aiutato a vedere il mondo con i loro occhi, altrimenti avrei viaggiato utilizzando solo i miei occhi e i miei pregiudizi, andando solo dove le mie scelte mi portavano.” Il vero viaggiatore ha un bassissimo impatto sull’ambiente che lo ospita, cerca strutture eco-sostenibili, utilizza mezzi di trasporto semplici, o meglio i suoi piedi, si siede alle tavole della gente del posto e soprattutto rispetta la loro cultura facendone tesoro. Al contrario la macchina del turismo non sempre fa notare l’impatto socio-economico che può avere sul territorio, spesso sfruttato da grandi multinazionali solamente per il profitto. “Il turismo consuma tutto. L’industria turistica è orribile non solo per fenomeni come il mercato del sesso, ma perché ha creato una mentalità da prostituzione. Si vende tutto di un luogo e delle persone che lo abitano pur di fare soldi.” (Tiziano Terzani) Di solito non generalizzo, quindi non credo che tutti coloro che non si possano definire viaggiatori siano persone irrispettose, o non abbiano idea dei problemi che l’arrivo del turismo di massa possa creare. Purtroppo molto spesso non ci si rende semplicemente conto, non si conoscono le dinamiche che portano allo sfruttamento dei territori e soprattutto delle popolazioni che li abitano. Chi di voi non è mai stato in qualche villaggio turistico? E non vi è mai saltato all’occhio che in qualsiasi posto del mondo andiate, lo staff con cui interagite è formato interamente da personale della vostra stessa nazionalità mentre tutta la servitù (così abitualmente chiamata, a mio avviso con cattivo gusto) sempre locale? E vi sembra corretto? A me personalmente no. Non mi piace ritrovarmi in un’ambiente costruito, e al tempo stesso sfacciatamente identico a quello dove vivo, senza poter interagire con gli abitanti del luogo. Sono strutture apprezzate dal turismo di massa, molto spesso i loro ospiti non escono nemmeno dai recinti, trascorrendo le giornate tra piscine e giochi di gruppo. E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, viaggiare è qualcosa di diverso, è qualcosa di più che visitare frettolosamente dei posti. Datevi tempo, guardatevi intorno, fermatevi su di una panchina ad osservare i passanti, uscite all’alba la mattina e rientrate dopo il tramonto, entrate in contatto con il posto e con la sua gente…Solo così potrete dire di aver conosciuto un popolo e la sua cultura.
...Cosa c’è di più suggestivo di un’affascinante faro su di una piccola isoletta disabitata nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico?... Ci troviamo sulla “Isla de Los Lobos”, un piccolo lembo di roccia vulcanica nell’arcipelago delle isole Canarie, a qualche miglio di distanza da Fuerteventura. Il panorama qui è rude, fatto di roccia lavica rossastra e addolcito da meravigliosi toni turchese creati dall’oceano sulle sue rive. Dichiarata interamente Riserva Mondiale della Biosfera, l’unico modo per arrivarci è in barca ed è percorribile solo a piedi. Dal piccolo molo dove attraccano le barche, camminando in direzione Nord per circa un’ora su sentieri contrassegnati e risalendo il monte della caldera che essendo completamente sommerso merita uno sguardo, si arriva al “Faro Martiño”. Meglio conosciuto come il faro di Lobos, fu costruito tra il 1863 e il 1865 su di una rupe vulcanica e la sua funzione originaria ovviamente era quella di guidare i naviganti sulla giusta rotta. Non riesco a pensare a nessun altro edificio costruito dall’uomo che sia Fino al 1968, anno in cui morì, era la dimora di quello che sarebbe stato l’ultimo guardiano del faro, Antonio Hernandez Paez meglio conosciuto come “Antoñito El Farero". Raggiunse l’isola nel 1936 e visse lì con la moglie e otto figli, due dei quali nati nel faro stesso. Numerose sono le storie che si raccontano su questo personaggio, si dice che ai pochi visitatori che si avventuravano offrisse un brodo di pesce che lui stesso faceva, e che se qualcuno si feriva lui gli prestasse soccorso, anche chirurgicamente all’occorrenza. In suo onore è stata intitolata una scuola di Fuerteventura. “Il suo asino si abituò ad ascoltare la gente, e anche se El Farero Sulle sue mura, vi è appesa una targa commemorativa dedicata alla scrittrice “Josefina Plá” (1903-1999), figlia di Antoñito, nata proprio qui ed in seguito emigrata in Paraguay, dove divenne famosa dapprima come giornalista e annunciatrice radiofonica, poi come autrice di opere letterarie e poetiche. I suoi racconti più sentimentali trattano molto spesso il tema del mare, con molti legami ai suoi ricordi sull’isola.
Dallo storico edificio, è possibile godere di una surreale quanto unica vista dell’isola di Lanzarote, di Fuerteventura nonché di tutta Lobos. I discendenti di Antoñito sono gli attuali proprietari dell’unico ristorante sull’isola, ovvero il “Restaurante Antoñito El Farero". Qualora si decida di campeggiare (consentito solo in un’area apposita), l’alba dal Faro Martiño è uno spettacolo per gli occhi e per l’anima. |
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Novembre 2017
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