La #Vanlife si può definire un vero e proprio stile di vita per chiunque voglia vivere in piena autonomia e massima libertà. Questa è la storia di “Foster Huntington”, una storia i cui ingredienti principali sono la passione per il viaggio, la fotografia e la libertà. Finiti gli studi, grazie al suo blog “A Restless Transplant”, viene ingaggiato da importanti case di moda a New York come fotografo, ma non è questo ciò che Foster vuole fare della sua vita. A lui non interessa il giudizio degli altri, tantomeno lo status quo. Un bel giorno, quando tutto sembra perfetto, trova il coraggio e carica tutto ciò di cui ha realmente bisogno nel suo van, un Volkswagen Syncro del 1987. La sua tavola da surf, la sua reflex, il suo notebook e parte alla ricerca di orizzonti nuovi da fotografare. Il suo viaggio inizia sulle coste della California e le sconfinate foreste del nord degli Stati Uniti. Foster condivide ogni sua avventura nel suo blog, le sue foto sono belle e magiche da farlo diventare seguitissimo con migliaia di followers e condivisioni sui social. #homeiswhereyouparkit, #LiveSimply e #vanlife sono gli hashtag che lo hanno accompagnato ad una popolarità che nemmeno lui si aspettava, #vanlife conta quasi due milioni e duecentomila post ora. Guardando le sue pubblicazioni si percepisce subito lo spirito d’avventura e la passione del momento stesso dello scatto, il sentimento, le sue emozioni. Dopo due anni di viaggio, Foster decide di raccogliere le sue foto più belle in un libro intitolato “Home is where you park it”, casa è dove parcheggi, dove sei. Potete seguirlo su Instagram (@fosterhunting) o su “A Restless Transplant”, ……. “Penso che ci sia un senso di disperazione nella mia generazione, riguardo ai posti di lavoro, ed è a buon mercato vivere in un furgone” Dopo alcuni anni senza meta ne base, inizia a realizzare un altro dei suoi sogni, costruire una casa sull’albero di fronte all’oceano pacifico. Durante la costruzione di“The Cinder Cone”, così l’ha chiamata, raccoglie una serie di disegni creati durante il processo di costruzione ed insieme ad altre idee su come poterla costruire, ne fa un altro libro dal nome “The conder cone build book”, atto secondo lui ad inspirare chi vorrebbe cimentarcisi “A volte succede, quello che inizia come un’avventura e la voglia di una vita più semplice può diventare uno stile di vita vero e proprio”
Ad Ottobre di quest’anno era prevista l’uscita del secondo libro “Van Life” di Foster Huntington, edito dalla Black Dog & Leventhal di New York City. Dalla sua storia hanno tratto ispirazione moltissime altre persone, tra cui King e Smith, coppia di ragazzi che ha seguito le orme di Foster dopo averlo conosciuto. La loro nuova vita si intitola “where is my office now”, ovvero crearsi un lavoro da poter svolgere ovunque ci sia una WIFI ed un tavolo per il notebook. “volevamo vedere se era possibile combinare questa vita hippie e nomade con il classico lavoro dalle 9 alle 5” #vanlife quindi, non è altro che una cultura Road Trip di nostalgici degli anni sessanta con una grande passione per l’outdoor e uno stile di vita libero dall’obbligo dell’orario di lavoro. Less is more.
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Il vento, una barca a vela, le carte nautiche e una gatta di nome Amelia. Questi sono i principali ingredienti della vita di Liz Clark, una ragazza di 36 anni che da oltre 10 gira per il Pacifico all'inseguimento delle onde più belle da surfare e i mari più belli da solcare. La sua passione ebbe inizio all'età di nove anni, quando con la sua famiglia passò un anno in barca navigando lungo le coste Messicane. Da quel momento il suo sogno fu quello di esplorare i mari di tutto il mondo a vela. “Mi ha cambiato. Mi sono innamorata di questo stile di vita. Volevo dedicarmi a proteggere il mare e diventare un giorno il comandante di una mia barca” Si laurea in scienze ambientali, cerca di trasformare la sua passione nella sua vita, fa esperienza su tantissime barche per imparare i segreti della navigazione, quelli che non si imparano sui libri. Nel frattempo conosce Barry Schuyler, un vecchio professore il cui sogno mai realizzato è sempre stato quello di navigare attorno al mondo, e che decide di trasmettere tutta la sua passione e le sue conoscenze a Liz per aiutarla a realizzarlo. Nel 2003 acquista Swell, il suo sloop da quaranta piedi del 1966 progettato da Bill Lapworth, che nei successivi ventiquattro mesi diventa una barca oceanica su misura per lei. Subito dopo il varo Liz salpa dal porto di Santa Barbara, e per altri due anni acquisisce esperienza in compagnia dei suoi amici. Nel 2007 inizia l’esperienza in solitaria, destinazione: Polinesia Francese. “Libera di inseguire le onde migliori sulle quali surfare, di fare un po’ di yoga al mattino, di tuffarmi in acque dorate al tramonto, di danzare alla luce della luna, di spazzolarmi i denti sotto le stelle... e di incontrare gente interessante” Dopo una sosta forzata di quasi un anno per un danno allo scafo da riparare, riparte in compagnia della sua nuova compagna di avventure, una gatta che ha chiamato Amelia in onore di Amelia Earhart, l’aviatrice americana dei record scomparsa nel Pacifico nel 1937 durante il suo ultimo avventuroso volo. Già convinta ambientalista diventa vegana, e cerca di sensibilizzare i suoi followers sul rispetto dell’ambiente attraverso la scrittura e la fotografia. “Navigando con Swell ho ridotto drasticamente il mio quotidiano impatto sulla terra. Ho bisogno di poco, voglio vivere con poco” Passa il suo tempo a scrivere sul suo blog “Liz Clark and the voyage of swell”, un diario di bordo dove racconta le sue esperienze in mare, e sui social dove tra l’altro è seguitissima. Ha intenzione di scrivere un libro, “vorrei che aiutasse altri a raggiungere i propri obiettivi di vita e migliorarsi. Viaggiando si capisce che la più grande esplorazione è quella che si compie in se stessi”. Il suo vero mondo è quello fatto di vento e acqua salata, e la sua filosofia quella dell’assaporare ogni momento e nel posto che ama. “In quasi dieci anni 25 mila miglia. Un quarto del globo. Ne ho ancora! Ma non ho fretta” ...La vita del Captain Liz, la donna del mare.
C’è viaggio e viaggio. In alcuni momenti della nostra vita, spesso si trasformano in veri e propri percorsi spirituali, cambiando la percezione ed il senso del viaggio stesso. Conoscere un paese vuol dire connettersi con gli aborigeni assimilando parte della loro cultura, comprendere i loro stili di vita, confondersi con loro per capirne lo spirito dando spazio a tutto ciò che possano trasmetterti ed insegnarti. Scoprire storie di vite totalmente distanti e diverse da noi, senza giudicare, alimentando la sete di conoscenza e il senso stesso dell’avventura, la Libertà. Accrescere e conoscere se stessi per migliorare il proprio concetto di vita secondo me è il vero valore di un viaggio interiore e significativo, che va oltre il concetto di vacanza, soprattutto se in solitaria e all’avventura. …come gli antichi naviganti che lasciavano il porto accettando i capricci del vento e issando le vele verso l’ignoto, combattuti tra curiosità e timore… Quando si parla di questo tipo di viaggi, l’oriente è sicuramente la parte del mondo che più facilmente ci viene in mente. Con i suoi molteplici templi buddhisti, induisti e shintoisti, è il luogo adatto per scoprire il fascino della meditazione. In Giappone, a sud della città di Osaka, ai piedi del monte Koya troviamo molte statue o templi dedicati a Buddha, frequentati da moltissimi viaggiatori. A Bangkok, capitale della Thailandia, c’è il tempio di Pho, con all’interno la statua reclinata e realizzata in oro del Buddha. Il culmine dei percorsi spirituali lo raggiungiamo in Tibet, nel monastero Dira Puk, situato a 5050 metri di altitudine e raggiungibile solo via trekking. Dimora di monaci Tibetani, conserva da secoli i loro segreti su come migliorarsi sia verso noi stessi che verso le persone che fanno parte della nostra vita attraverso la meditazione. Staremo qui giorni ad elencare luoghi sacri possibili mete dei nostri viaggi, tra l’altro li troviamo un po’ in ogni parte del mondo, inclusa l’Italia con percorsi e monasteri Francescani e Francigeni, ma il senso è quello che conta, non il luogo. “Certamente da ogni viaggio si torna un po’ diversi, qualunque esperienza ci arricchisce e ci cambia, e se la si fa in solitaria ci aiuta a scoprire un po’ più di noi stessi.” Non meno interessanti sono i cammini spirituali, tra i più famosi il “Camino de Santiago de Compostela”. Questo tipo di esperienza non sempre offre Mausolei o Templi, molto spesso è essa stessa e le persone che ci si incontrano il suo significato, un vero e proprio viaggio sensoriale. Conosco diverse persone che ne hanno intrapresi alcuni, e quasi tutte sono tornate cambiate, molto più felici e in pace con loro stesse. Il più delle volte sposano il concetto di “Less is more”, ovvero possedere meno vuol dire vivere meglio. Molto spesso di lì in avanti tutto ciò di cui avranno bisogno entrerà nella loro valigia. Esperienze del genere possono essere un’opportunità per uscire dalle abitudini, dalla quotidianità, hanno la capacità di farti osservare con nuovi occhi anche il mondo che ti appartiene, quello da cui si è partiti. Quindi, se pensiamo di aver bisogno di esperienze di viaggio un po’ più spirituali o sentiamo di volerci conoscere più a fondo, cosa aspettiamo… Zaino in spalla, qualche dritta e via… E’ arrivato il tempo di meditare, sognare, provare per credere. …Strano come spesso basti un viaggio, pochi grammi di coraggio… Sentiamo spesso parlare di turisti o viaggiatori, ma in realtà quali sono le vere differenze di queste due categorie che tanto si sentono distanti? Viaggiare vuol dire vedere con gli occhi di chi quel posto lo vive, calarsi il più possibile nella realtà e nello spirito del luogo, cercare incontri improbabili e a volte meravigliosamente inaspettati, lasciarsi guidare dal caso e non dal programma. Per essere viaggiatori si deve aver pazienza, dedicare tempo alle esperienze, chi si dà troppi obiettivi e poco tempo non assapora nulla di ciò che scopre. Il viaggio è fatto di emozioni, e non di visite guidate. “Mi hanno aiutato a vedere il mondo con i loro occhi, altrimenti avrei viaggiato utilizzando solo i miei occhi e i miei pregiudizi, andando solo dove le mie scelte mi portavano.” Il vero viaggiatore ha un bassissimo impatto sull’ambiente che lo ospita, cerca strutture eco-sostenibili, utilizza mezzi di trasporto semplici, o meglio i suoi piedi, si siede alle tavole della gente del posto e soprattutto rispetta la loro cultura facendone tesoro. Al contrario la macchina del turismo non sempre fa notare l’impatto socio-economico che può avere sul territorio, spesso sfruttato da grandi multinazionali solamente per il profitto. “Il turismo consuma tutto. L’industria turistica è orribile non solo per fenomeni come il mercato del sesso, ma perché ha creato una mentalità da prostituzione. Si vende tutto di un luogo e delle persone che lo abitano pur di fare soldi.” (Tiziano Terzani) Di solito non generalizzo, quindi non credo che tutti coloro che non si possano definire viaggiatori siano persone irrispettose, o non abbiano idea dei problemi che l’arrivo del turismo di massa possa creare. Purtroppo molto spesso non ci si rende semplicemente conto, non si conoscono le dinamiche che portano allo sfruttamento dei territori e soprattutto delle popolazioni che li abitano. Chi di voi non è mai stato in qualche villaggio turistico? E non vi è mai saltato all’occhio che in qualsiasi posto del mondo andiate, lo staff con cui interagite è formato interamente da personale della vostra stessa nazionalità mentre tutta la servitù (così abitualmente chiamata, a mio avviso con cattivo gusto) sempre locale? E vi sembra corretto? A me personalmente no. Non mi piace ritrovarmi in un’ambiente costruito, e al tempo stesso sfacciatamente identico a quello dove vivo, senza poter interagire con gli abitanti del luogo. Sono strutture apprezzate dal turismo di massa, molto spesso i loro ospiti non escono nemmeno dai recinti, trascorrendo le giornate tra piscine e giochi di gruppo. E non c’è niente di più bello dell’istante che precede il viaggio, viaggiare è qualcosa di diverso, è qualcosa di più che visitare frettolosamente dei posti. Datevi tempo, guardatevi intorno, fermatevi su di una panchina ad osservare i passanti, uscite all’alba la mattina e rientrate dopo il tramonto, entrate in contatto con il posto e con la sua gente…Solo così potrete dire di aver conosciuto un popolo e la sua cultura.
...Cosa c’è di più suggestivo di un’affascinante faro su di una piccola isoletta disabitata nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico?... Ci troviamo sulla “Isla de Los Lobos”, un piccolo lembo di roccia vulcanica nell’arcipelago delle isole Canarie, a qualche miglio di distanza da Fuerteventura. Il panorama qui è rude, fatto di roccia lavica rossastra e addolcito da meravigliosi toni turchese creati dall’oceano sulle sue rive. Dichiarata interamente Riserva Mondiale della Biosfera, l’unico modo per arrivarci è in barca ed è percorribile solo a piedi. Dal piccolo molo dove attraccano le barche, camminando in direzione Nord per circa un’ora su sentieri contrassegnati e risalendo il monte della caldera che essendo completamente sommerso merita uno sguardo, si arriva al “Faro Martiño”. Meglio conosciuto come il faro di Lobos, fu costruito tra il 1863 e il 1865 su di una rupe vulcanica e la sua funzione originaria ovviamente era quella di guidare i naviganti sulla giusta rotta. Non riesco a pensare a nessun altro edificio costruito dall’uomo che sia Fino al 1968, anno in cui morì, era la dimora di quello che sarebbe stato l’ultimo guardiano del faro, Antonio Hernandez Paez meglio conosciuto come “Antoñito El Farero". Raggiunse l’isola nel 1936 e visse lì con la moglie e otto figli, due dei quali nati nel faro stesso. Numerose sono le storie che si raccontano su questo personaggio, si dice che ai pochi visitatori che si avventuravano offrisse un brodo di pesce che lui stesso faceva, e che se qualcuno si feriva lui gli prestasse soccorso, anche chirurgicamente all’occorrenza. In suo onore è stata intitolata una scuola di Fuerteventura. “Il suo asino si abituò ad ascoltare la gente, e anche se El Farero Sulle sue mura, vi è appesa una targa commemorativa dedicata alla scrittrice “Josefina Plá” (1903-1999), figlia di Antoñito, nata proprio qui ed in seguito emigrata in Paraguay, dove divenne famosa dapprima come giornalista e annunciatrice radiofonica, poi come autrice di opere letterarie e poetiche. I suoi racconti più sentimentali trattano molto spesso il tema del mare, con molti legami ai suoi ricordi sull’isola.
Dallo storico edificio, è possibile godere di una surreale quanto unica vista dell’isola di Lanzarote, di Fuerteventura nonché di tutta Lobos. I discendenti di Antoñito sono gli attuali proprietari dell’unico ristorante sull’isola, ovvero il “Restaurante Antoñito El Farero". Qualora si decida di campeggiare (consentito solo in un’area apposita), l’alba dal Faro Martiño è uno spettacolo per gli occhi e per l’anima. Cosa c’è di meglio di un viaggio? E se lo facessimo anche in maniera responsabile e sostenibile? Il turismo è l’economia più vasta del pianeta, e quella che vede occupate più persone in ambito lavorativo, ma non sempre le proposte riescono ad essere a basso impatto sociale ed ambientale. Differenziamo subito le due maggiori tipologie di turismo. Quello di massa, ossia i villaggi turistici o i grandi gruppi alberghieri, che spesso non prende nemmeno in esame la possibilità di arrecare danno alle popolazioni autoctone e alla natura del luogo, dove la maggior parte delle volte esse non possono nemmeno entrare. Molti turisti acquistano viaggi in un qualsiasi paese del mondo che magari nemmeno vedranno, restando tutto il tempo all’interno delle strutture e passando le giornate tra piscine e spettacolini vari. Il secondo, quello a me più a cuore, lo possiamo chiamare turismo sostenibile e responsabile. Consiste nell’organizzare il viaggio con il minor impatto socio-culturale ed ambientale possibile. Come facciamo a sapere se ciò che scegliamo sia su questa logica oppure no? Iniziamo dal principio, i mezzi di trasporto. E’ sempre preferibile orientare le nostre scelte sui treni piuttosto che gli aerei, la differenza di emissioni di Co2 è notevolmente inferiore, tuttavia non sempre le nostre destinazioni sono così raggiungibili. Quindi, laddove sia possibile, evitiamo gli aerei e se non strettamente necessarie anche le auto. Per essere veramente GREEN spostiamoci in bici o con i mezzi pubblici del posto. La seconda scelta sarà quella della struttura che ci ospiterà.
Come già detto in precedenza, evitiamo villaggi e mega strutture simili. Oggi il mercato propone diverse soluzioni, da case vacanza a meravigliosi cottage immersi nella natura, autosufficienti a livello energetico ed a basso consumo idrico. La casa vacanza è una tipologia di alloggio comoda, molto spesso in centro, gestita quasi sempre da gente del posto e che più ci fa stare a contatto con le abitudini e le culture delle popolazioni che ci ospitano. Oramai sempre più diffuse, sono spesso curate nei minimi dettagli, e a differenza di altre strutture i consumi energetici e idrici sono alquanto bassi. Uno dei portali più famosi per prenotarle in tutto il mondo è AirBnb, personalmente testato molte volte. Ottimo sia nelle proposte che nell’assistenza. C’è la possibilità che girovagando su internet si trovino alternative inusuali, come cottage o vere e proprie tree-house, a bassissimo impatto ambientale e meravigliosamente particolari. La loro logistica è quasi sempre periferica, e molto spesso sono completamente autosufficienti, attrezzate con pannelli solari sia per l’elettricità che per l’acqua calda, completamente Green-Friendly. Molto importante sarà anche il nostro comportamento. Per essere “viaggiatori responsabili” acquistiamo prodotti da attività gestite da persone del posto, mangiamo piatti veramente tipici su ristoranti che parlano la loro lingua, così da rafforzare il tessuto socio-culturale del posto e non i conti di qualche multinazionale che altro non fa che i propri interessi (spesso a scapito del luogo stesso). Vivere un’esperienza indimenticabile vuol dire integrarsi con lo stile di vita di chi ci ospita, e questo è possibile solo dove il turismo di massa è ben lontano. Cercate di parlare la loro lingua, assaporate i loro profumi e sedetevi alle loro tavole, solo così porterete a casa ricordi ed emozioni che resteranno impressi per sempre dentro di voi. Viaggiare è emozionante, viaggiare “green” ancora di più. “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare”. (Andy Warhol) Rinunciare alle comodità della vita “normale” per viaggiare in giro per il mondo a bordo di un van? E’ esattamente la decisione che, dopo una settimana di università e un senso oppressivo di prigionia, ha preso Laysea, avvertendo il desiderio di vedere il mondo. Il viaggio e lo yoga le sue passioni. Ha iniziato così a lavorare per accumulare sufficiente denaro e poter dedicare un periodo della sua vita ad una avventura alla scoperta del mondo. Si trasferisce così a San Diego, ma si accorge che gran parte dei soldi guadagnati se ne vanno per affitto e bollette di una casa troppo grande per lei… cosa di cui può fare a meno. “Ogni weekend dormivo nella mia jeep mentre ero in viaggio, praticamente tornavo a casa solo per rifare lo zaino”. Seguendo nuovamente il suo istinto, acquista un camper-van Westfalia su Volkswagen del 1983, il discendente del pulmino utilizzato negli anni sessanta dagli Hippie, e decide di vivere “on the road” ovunque la portasse il suo viaggio. Organizza la sua nuova casa su ruote per farla diventare autosufficiente e poter così non dipendere da nulla e da nessuno. E’ da qui che inizia a prendere coscienza del fatto che meno beni materiali si hanno, più si sta meglio…“less is more”.
Definita da tutti una pazza per la decisione di viaggiare a tempo indeterminato abbandonando tutto, si dirige verso l’India e li approfondisce le conoscenze dello yoga, sua grande passione. Diventa insegnante Ashtanga e riesce a mantenersi grazie a lezioni private. Questo stile di vita gli permette di mettere da parte il materialismo a favore della spiritualità. “Per una ragazza indipendente non esiste niente di meglio: un’orizzonte nuovo ogni giorno, la totale libertà di scegliere che strada prendere e la possibilità di fare ciò che vuole della sua vita”. La Vanlife gli ha insegnato a rallentare e a godersi il presente senza pensare troppo al futuro. “Tutto ciò che abbiamo è il qui e ora. Vivere in un van ti permette di amare quei piccoli momenti che abbiamo perso nelle nostre esistenze fatte di obblighi e fretta”. “Non esiste nessuna sensazione come il parcheggiare in una foresta o nel deserto, lontano da tutto e tutti. Quando guardi le stelle e ti scaldi di fronte a un fuoco, è qualcosa di incredibile”. “Ho imparato che la bellezza della vita è nel non programmare” Laysea Danielle Siamo considerati dei pazzi visionari solo perché non ci accontentiamo della sicurezza di un posto fisso o delle ferie estive ma vogliamo vivere la nostra vita il più intensamente possibile, girando il mondo e collezionando emozioni che valgono più di qualsiasi bene materiale immaginabile. Questo è lo spirito che in fondo risiede nella filosofia di HiddenRoads, nato dalla voglia di viaggiare non solo per una vacanza e dalla possibilità di non solcare i sentieri già affollati e famosi del turismo tradizionale ma di cercare nuove strade e nuovi orizzonti e condividerli con chi sente di doversi allontanare un po’ dalla massa. ![]() Nel centro di Lajares, una piccola località residenziale di Fuerteventura, ogni Sabato mattina si svolge il “Mercado Artesanal Los Lajares”, ovvero un piccolo mercatino che propone esclusivamente prodotti artigianali di ogni genere. L’atmosfera è meravigliosamente rilassata. Facciamo un giro tra le bancarelle e notiamo subito una serie di artefatti in legno con i colori del mare. ...Mila Decò, questo è il nome con cui due ragazzi danno vita a meravigliosi complementi d’arredo, lampade, portachiavi da parete, esclusivamente fatti a mano. https://www.facebook.com/milahandmadedeco/ Il legno è tra i materiali più utilizzati, troviamo anche manufatti in pelle e cuoio, portachiavi e portaoggetti costruiti con vecchie mute da surf, borse e tanto altro tra le 20 o 30 bancarelle, dove si respira un clima di amicizia e cooperazione che raramente ancora si vede in giro. A poco a poco la piccola piazza gremisce di gente, sia del posto che turisti, e le bancarelle piene di curiosi iniziano a proporre i loro prodotti. ![]() Proprio lì di fronte c’è il famoso “Canela Cafe”, lo storico locale dei surfisti nato ancor prima dell’arrivo del turismo sull’isola e frequentato tuttora da tantissimi ragazzi. Molto curato nell’immagine offre colazioni golose, pranzi da fast-food ma con ricette tipiche rivisitate e una vasta selezione di birre, e la sera il tutto è accompagnato da musica dal vivo (quasi sempre rock) sul loro bellissimo palco. In sintesi, una bellissima esperienza in un luogo altrettanto piacevole. Lo stile di vita delle persone del posto ti fa tornare negli anni sessanta…
...Love & Peace… Chris era un viaggiatore, laureato con ottimi voti e di famiglia benestante, che all’inizio degli anni novanta decise di intraprendere un viaggio solitario nell’Ovest Americano.
Devolse così tutti i suoi risparmi ad una confederazione internazionale impegnata nella riduzione della povertà globale e partì da solo sulla sua auto, abbandonata poco dopo con all’interno tutti i suoi beni ed ogni traccia della sua identità. Proseguendo il viaggio in autostop, si spostò tra Stati Uniti e Messico, e trascorse gli ultimi 112 giorni della sua vita in Alaska, dove visse in un autobus abbandonato ribattezzato “Magic Bus”. Durante il suo viaggio volle cambiarsi nome in Alexander Supertramp, scrisse su un taccuino i motivi che lo spinsero alla drastica decisione di lasciare la società in cui viveva (e nel quale evidentemente non riusciva più a stare), e descrisse il suo lungo viaggio in mezzo alla natura selvaggia (Into the wild). Nell’Agosto del ’92 venne ritrovato morto all’interno del suo “Magic Bus”. Insieme a lui e ad alcuni oggetti che lo aiutarono a sopravvivere c’erano anche i suoi appunti, alcuni libri di Tolstoj, London e Thoreau ed una fotocamera contenente il suo ultimo autoscatto. La sua storia ha ispirato il bellissimo libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer e l’altrettanto fantastico film “Into the wild” di Sean Penn (Emile Hirsch - colonna sonora Eddie Vedder). Il “Magic Bus” è così diventato meta di appassionati della sua storia e di turisti estremi. “La felicità è reale solo quando condivisa” Christopher Johnson McCandless. La stagione dei grandi eventi musicali di Fuerteventura inizia durante il periodo Pasquale, con il “Lebrancho Rock”, dove tantissime giovani band internazionali si ritrovano a Plaza de la Paz di Puerto del Rosario per suonare davanti ad un grande pubblico.
I primi giorni di Luglio a “Playa de la Concha di El Cotillo”, un palcoscenico naturale meraviglioso ospita “Fuerteventura en Musica”, festival considerato artistico e naturalistico. Di carattere interculturale dato che i partecipanti provengono spesso dal sud America e dall’ Africa. A fine Ottobre è la volta di Corralejo, con il “Festival Internacional de Blues”. Appassionati provengono da ogni dove, suonando le loro performance nelle strade del Pueblo e in Plaza Patricio Calero. |
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Novembre 2017
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